Ricerca scientifica

Silene dei prati: pianta modello per comprendere i meccanismi di resistenza a nuovi parassiti

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Nuova ricerca USA-Aree Protette Alpi Marittime sullo studio delle malattie infettive che durerà sino al 2024.

La "Silene vulgaris" conosciuta volgarmente come "scupèt" | G. Pallavicini.

Da un anno stiamo combattendo per debellare il virus Covid-Sars-2, agente dell’infezione Covid 19. Distanziamento, mascherine, quarantena, terapia intensiva e, infine, il vaccino, sono solo alcune delle armi a nostra disposizione per contrastare questo nemico invisibile eppure potentissimo.
Ciò nonostante, nuove varianti del Coronavirus si stanno facendo strada, rischiando di pregiudicare gli sforzi sin qui fatti e di accrescere ulteriormente l’incertezza per il futuro. Si tratta di una specie di “corsa agli armamenti”, una gara a chi escogita il modo di riprodursi più facilmente e abbondantemente (come fa il virus) e chi, dall’altra parte, tenta di fermarlo (noi).
Entrambe queste situazioni sono assolutamente normali e onnipresenti in natura, tra piante e animali, su scala macroscopica e microscopica, e segnano l’evolvere di un equilibrio dinamico tra azione e reazione, tra attacco e difesa, tra evoluzione e intelligenza. Come il bruco aggredisce la foglia di cavolo, così la pianta reagisce al morso dell’insetto liberando sostanze “piccanti” a base di zolfo. Il bruco risponde al veleno vegetale dotandosi di antidoti in grado di neutralizzarlo, mentre l’ortaggio cerca di rendere ancor più disgustosa la cena al suo parassita. In questo esempio nessuno è bravo e nessuno è cattivo. Entrambi i protagonisti si fronteggiano per sopravvivere, senza morire di fame (il bruco) e senza essere divorato (il cavolo).

Contrastare un microorganismo come un virus, un batterio o qualsiasi altro tipo di agente patogeno non significa solo trovare un vaccino o un farmaco adatto a debellarlo o, almeno, a renderlo meno aggressivo. Questo passaggio è solo l’ultimo di una lunga sequenza di fasi fondate sullo studio del patogeno e sulla ricerca delle sue “abitudini di vita”.
Esattamente come si farebbe sul campo di battaglia, l’azione delle truppe per fronteggiare il nemico non è frutto dell’improvvisazione ma l’atto finale e concreto ad una complessa strategia studiata minuziosamente nelle tende dei generali e degli alti ufficiali esperti di tattica militare.
Nelle battaglie del genere umano contro le malattie, gli strateghi sono rappresentati dai ricercatori scientifici. Biologi, matematici, chimici, virologi, immunologi, medici, ma anche botanici, zoologi, veterinari, esperti di statistica, tutti questi professionisti sono impegnati, ognuno con le rispettive competenze, ad arginare il nemico, analizzandone le caratteristiche morfologiche e genetiche, i comportamenti e le abitudini, per scovarne i punti di forza e di debolezza.
In particolare, alcuni biologi esperti in malattie infettive degli animali e delle piante, si sono dedicati negli ultimi anni non tanto a trovare una soluzione per debellare il parassita o il patogeno di riferimento, quanto più a studiarne il comportamento, in laboratorio come in campo. Si tratta di ricercatori e ricercatrici americane, provenienti da tre università distinte, quella della Virginia, del Maryland e dell’Amherst College, in Massachusetts.
Nel corso degli ultimi dieci anni la loro attenzione si è concentrata sullo studio di un sistema pianta-fungo considerato un modello importante nella battaglia alle malattie infettive. In questo sistema la pianta svolge la parte della vittima, cioè di colei che subisce l’attacco (in gergo viene detta “ospite”), mentre il fungo ricopre il ruolo dell’aggressore, cioè di colui che genera l’infezione (e viene chiamato “parassita”).
Anche se i protagonisti di questo sistema-modello non sono virus o batteri dannosi per l’uomo, i loro comportamenti e le loro azioni e reazioni sulla “scacchiera” della natura sono di fondamentale importanza per comprendere meglio le regole del gioco e per studiare più da vicino, e senza rischi per la salute dei ricercatori, le mosse (e le contromosse) che i nostri protagonisti compiranno nei prossimi anni.

I risultati di queste indagini hanno un campo di applicazione che va al di là della ricerca botanica, con interessanti rivelazioni anche sulle dinamiche tra ospite e patogeno di altre malattie infettive. Le conseguenze concrete di tali scoperte hanno implicazioni anche sulla salute umana e sono di grande interesse sia per l’agricoltura che per la salvaguardia della biodiversità.
Le ricerche statunitensi hanno analizzato sotto diversi punti di vista i rapporti di forza esistenti tra il fungo parassita (chiamato Carbone delle Antere) e diverse piante erbacee, tra le quali anche il garofanino Dianthus pavonius, endemico delle Alpi sud-occidentali. Il fungo deposita, con l’azione del vento e degli insetti impollinatori, le sue spore virulente sui fiori delle piante sane del garofanino. In questa sede le spore germinano sul pistillo e penetrano nel fiore per accrescersi e diffondersi nella pianta. Durante l’inverno il fungo resta “nascosto” nella gemma basale del garofano, addormentata sotto la neve. Con la primavera successiva, al risveglio del vegetale, il fungo riprende il suo sviluppo e va a riprodursi (cioè a generare nuove spore infettive) negli organi sessuali maschili del fiore (le antere), ricominciando così il suo ciclo di diffusione. La particolarità di questo parassita è quella di riuscire a trasformare l’organo femminile del fiore in un organo maschile e di andare a sostituire i granuli di polline normalmente prodotti dal fiore, con le sue spore. In queste condizioni la pianta, non producendo più polline e non avendo più un ovario in grado di trasformarsi in frutto, non potrà riprodursi (cioè generare dei semi) avviando, teoricamente, la popolazione di garofani verso l’estinzione. Questa modalità di azione del parassita rispetto alla pianta (mediante la sua sterilizzazione) è solo una delle infinite strategie adottate dai molti agenti patogeni esistenti sul pianeta per garantirsi nutrimento e riproduzione (quella che viene chiamata fitness) all’interno di un altro organismo che li ospita (come nel caso del nostro garofanino).
Negli ultimi dieci anni il gruppo di ricerca statunitense, in collaborazione con in collaborazione con il Centro Regionale per la Biodiversità Vegetale che ha sede presso il Parco, ha focalizzato le ricerche sulla comprensione del comportamento del fungo parassita ai margini dell’area di presenza del garofanino e sullo studio delle modalità di dispersione delle spore e di infezione della pianta. Queste indagini hanno prodotto oltre 74 pubblicazioni scientifiche di carattere internazionale.

Con una nuova ricerca, finanziata niente meno che dal famoso NIH americano (National Insitute of Health) di cui tanto si sente parlare a proposito del Coronavirus, l’attenzione si è spostata sullo studio delle diverse combinazioni che si possono verificare tra ospite e patogeno, al fine di comprendere meglio quali sono i fattori ambientali e genetici che guidano la trasmissione della malattia.

Il lavoro, che durerà sino al 2024, consisterà nello studiare quale sia il rischio di infezione tra gruppi diversi di piante ospiti (cioè suscettibili o meno alla malattia provocata dal fungo). In questo caso non useremo più il garofanino di montagna ma la comune erba del cucco (detta anche sciupèt), la Silene vulgaris.
L’intento è quello di mostrare i vari meccanismi di resistenza adottati da questa specie per contrastare le aggressioni da parte dei parassiti, ponendo particolare attenzione a capire qual è la capacità di resistenza della pianta all’attacco di un fungo che essa già conosce bene (una malattia endemica, per la quale il vegetale ha già sviluppato delle difese immunitarie), rispetto alla sua reazione in presenza di malattie quasi o del tutto sconosciute (contro la quali la pianta non si è ancora attrezzata).
L’obiettivo di queste nuove indagini, che verranno condotte sia in laboratorio che in vivaio, è quindi quello di documentare i vari tipi di resistenza messi in atto dall’ospite nei confronti di un patogeno straniero, sconosciuto.
Questo aspetto è di straordinaria attualità e pone in primo piano la questione di come ci si possa difendere dall’arrivo improvviso di nuove malattie ancora sconosciute… praticamente una “versione botanica” di ciò che sta avvenendo nei confronti dell’infezione da Sars-cov-2.

Il Centro Regionale per la Biodiversità Vegetale, grazie alla sua collaborazione decennale con l’Università della Virginia, del Maryland e con l’Amherst College (USA) nei prossimi anni svilupperà alcune delle nuove azioni di ricerca. Un progetto che non mancherà di rivelare informazioni, curiosità, ad aumentare la conoscenza di complessi fenomeni naturali, che possono avere importanti conseguenze anche sulla vita dell'uomo, e di cui aggiorneremo costantemente i lettori.


Articolo a cura di: Dott.ssa Valentina Carasso, Consulente scientifica delle Aree Protette Alpi Marittime e coordinatrice per l’Italia del Progetto USA intitolato: “Variazione della resistenza alle malattie endemiche come fattore di rischio per l’emergenza di nuove malattie: il Carbone delle Antere come modello”.

Ultimo aggiornamento: 11/03/2021

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