Letteratura

Un abisso chiamato Deneb

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Un racconto da Una frontiera da immaginare di Andrea Gobetti. Il libro che negli anni '70 segnò una generazione di speleologi e non solo.

La conca delle Carsene | G. Bernardi.

Aprii gli occhi e, mentre i raggi del sole dovevano ancora asciugare il prato e il mio sacco piuma bagnato di rugiada notturna, mi accorsi che il Marguareis stava ridendo.
Il sole ci stava mettendo più del solito a traversare il campo speleo per venire a disibernarmi, le marmotte ridevano goffe fuori dalle loro tane, gli uccelli ridevano, il vento del mattino portava la risata a rimbalzare sui grandi costoni di calcare, sulle balze di granito. Vicino alla fossa delle immondizie, a caccia di qualche buon avanzo, stavano ridendo pure tre feroci ermellini.
Stai all'occhio, ragazzo.

Il Marguareis non ride quando è felice, ride quando vuol preparare qualche scherzo. Gli altri si svegliarono e ridendo ci si ficca sotto il tendone da barboni che protegge la nostra cucina, e ci si ingegna nel tentativo di ingurgitare una commestibile colazione. Sentendo quello scimmiottare di risate, il Marguareis comincia veramente a sbellicarsi. Ride anche il torrente pieno di cacca di mucca prima di inabissarsi nella voragine della conca del Pas. E se ride lui, che sta per farsi sei giorni di punta per 1120 di dislivello prima di uscire al cielo di nuovo alla Gola delle Fascette, allora vuol dire che sarà proprio uno scherzo tremendo.
All'occhio ragazzo.

Provo cautamente a tastare il terreno con gli altri per vedere se anche loro sentono stranecose, sataniche risate: pare di no, ma quassù sul Marguareis nessun può dire di essere completamente a posto.
Forse è stata la punta di ieri in Piaggia Bella e la notte sotto le stelle che hanno dato un altro giro di vite al mio cervello, forse il dono di sentire risate era il premio riservato agli esploratori del più grande affluente del torrente Piedi Umidi: la via dei Montaneros.
Cerco di essere più specifico con Max Demichela; lui e John hanno esplorato con me le grandi sale e il meandro a cascate della via dei Monteneros il giorno prima; lui risponde di sì. Lui dice di sentire la sghignazzata e molte altre cose come a tratti rumor di catene e sibili degni del Gran Vergnacco. Non serve a niente.Se uno di noi due vede da ubriaco un cercopiteco coi tutù, l'altro sente l'immediato bisogno di scorgere alle spalle del cercopiteco due sinantropi di Giava dotati di calzamaglia e ombrello.

"La testimonianza del Demichela Massimo non è da ritenersi probante". Punto. E la risata continua, innocente, argentina.
Gli altri si muovono per andare a cercare qualche grotta nuova e per andare a topografarne un paio già esplorate, mentre noi reduci della Piaggia Bella ci stravacchiamo nel sole già caldo facendo asciugare vestiti, materialie vecchie carcasse. Con una Gitane pendula tra le labbra incrostate di fango, gli occhi socchiusi su Pian Balaur sorrido: "Ridi, ridi, tanto io me ne sto tutto il giorno stravaccato qui".
Intontito dal sole mi levai dal prato a mezzogiorno, mi venne fame e mangiai, mi venne sete e bevvi, ormai e poi mi diedi a vagare senza meta sui prati vicino al rifugio. Trovai Giovanni Badino che faceva la stessa cosa nella Valletta dei Pensieri, vicino all'abisso Jean Noire.
Eravamo in mutande: non si gira più nudo integrale e scarponi sul Marguareis dal giorno in cui Paulin ed io appunto così in deshabillé guadagnammo il Colle del Pas contemporaneamente a quaranta preti e seminaristi che salivano dall'altro versante.

Fu così che ci sedemmo su un mucchio di sassi nella frana che sovrasta i Pensieri e cominciammo a parlare dei fatti nostri, di astronomia, di viaggi lontani e di future spedizioni extraeuropee e mentre Giovanni stava dicendo "perché mi sa che gli abissi marguaresiani sono finiti", anche voi non ci crederete mai, io misi un sassetto tra due blocchi più grossi e non lo sentii cadere sul fondo. Guardai Giovanni. C'era tutta l'ansia e la speranza e il masochismo e tuttuo il resto che i sapienti chiamano il motore della speleologia, tutto dentro le nostre teste in esplosione mentre la pietra cadeva e NON TOCCAVA ANCORA. E poi il colpo su nere pareti lontane che per incalcolabili giorni avevano solo riflesso l'eco dello stillicidio e non avevano mai conosciuto la luce.

Centro metri sotto i nostri scarponi il gioco era di nuovo cominciato. E mentre GIovanni ed io, tiltati all'ultimo punto, vaghiamo ululando e ci graffiamo le mani togliendo pietrame per allargare il buco di ingresso, finalmente comprensibile, la risata del Marguareis esplode su tutto.
non c'è niente di così bello nell'alpinismo e da nessun'altra parte come il fantasticare dello speleologo su un abisso appena scoperto, quando l'unico dato è una pietra caduta per tanti decondi. allora si ipotizzano saloni e torrenti, congiunzioni con altre grotte, risorgenze; si pregustano le punte e persino le baldorie che seguono il felice esito di tutte le esplorazioni.

Tratto da Una Frontiera da immaginare di Andrea Gobetti, Dall'Oglio editore.

Andrea Gobetti, nato a Torino nel 1952, scrittore, giornalista e regista, vive a Matraia, sulle colline lucchesi. Ha dedicato due libri alle avventure speleologiche Una frontiera da immaginare (Dell’Oglio,1976) e Le radici del cielo (CDA,1982) nonché la guida Italia in grotta (Gremese,1989) e Aria di Valtellina (Stefanoni 1989). Dall’esperienza dei due video realizzati per la televisione Svizzera Italiana “L’Uomo di Legno” e “La strada di Olmolunreing”, ha tratto Drammi e diaframmi (Corbaccio 1997) e Animalia Tantum (Skira 2000).

Ultimo aggiornamento: 14/05/2020

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