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Farfalle come bioindicatori

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La farfalla è da considerarsi un ottimo bioindicatore: la presenza o assenza di questi insetti permette di avanzare considerazioni sullo stato di salute di un habitat in tempi relativamente brevi.

Illustrazione di S. Torta, con la collaborazione di A. Cozzolino

Essendo il ciclo biologico delle farfalle fortemente legato, nelle diverse fasi di sviluppo, a diverse specie arboree ed erbacee, la farfalla è da considerarsi un ottimo bioindicatore: la presenza o assenza di tali animali, permette di avanzare delle considerazioni sullo stato di salute di un particolare habitat in tempi relativamente brevi.
Le farfalle, inoltre, sono particolarmente sensibili alla presenza di sostanza inquinanti come pesticidi o erbicidi, che possono causare così la scomparsa diretta dei lepidotteri, ma anche indiretta, andando a danneggiare piante spontanee utili per il nutrimento dei bruchi.

Se in passato la presenza dell’uomo ha favorito la diffusione delle farfalle, grazie a pastorizia e agricoltura, oggi si assiste a un danneggiamento e distruzione del paesaggio agricolo e degli habitat favorevoli.
Molte specie di farfalle, a seconda della zona altitudinale, necessitano di boschi, radure, pascoli incolti, prati stabili e zone umide: questi ambienti sono sempre più rari. Anche i giardini pubblici potrebbero non aiutare, essendo spesso ricchi di fiori non autoctoni, spesso privi di nettare.

Tutela e conservazione

Agricoltura intensiva, uso di pesticidi, inquinamento, cambiamenti climatici innescati dall’uomo sono alcune delle cause principali che stanno portando alla frammentazione e all’isolamento delle popolazioni di farfalle, aumentandone il rischio di estinzione.
La loro scomparsa metterebbe a rischio gli equilibri naturali degli ecosistemi stessi.
Le farfalle sono infatti importanti non solo come impollinatori, ma costituiscono anche la base alimentare per diversi uccelli insettivori e altri animali.
Inoltre sono organismi cosiddetti a sangue freddo (ectotermi), il cui ciclo vitale e sopravvivenza sono fortemente influenzati dalla temperatura. Queste caratteristiche li rendono forse il gruppo zoologico su cui gli effetti dei cambiamenti dell’ambiente a breve termine sono più facilmente individuabili. Le farfalle, essendo ben conosciute e facilmente identificabili, sono molto indicate per svolgere ricerche scientifiche sugli effetti delle variazioni ambientali.

I ricercatori evidenziano che temperature annue sempre più elevate spingono alcune specie a spostarsi a quote sempre più elevate per raggiungere climi più miti e a variare di più la loro dieta per poter sopravvivere.
Studi recenti hanno dimostrato che in Europa il riscaldamento globale sta favorendo gli insetti con livrea chiara, poiché questa li aiuta a proteggersi dal surriscaldamento; gli esemplari con tonalità più scure, al contrario, sono costretti ad abbandonare il loro habitat per cercare zone più ombreggiate.
Il riscaldamento globale sta modificando la distribuzione delle farfalle in favore delle specie più chiare: la percezione che ne deriva è quella di un generale ‘sbiadimento’ delle comunità avvistate proprio per tale ragione.

Altri studi hanno evidenziato che in Italia, dal 1950, si assiste a una diminuzione del numero di individui appartenenti alle specie igrofile, colpite dall’aumento medio delle temperature e dal minor apporto idrico. In alcuni casi il riscaldamento climatico ha comportato spostamenti di areale verso latitudini o quote più elevate; in altri casi le temperature estive hanno influenzato i periodi di volo, causandone spostamenti orari. Il riscaldamento globale ha inoltre favorito l’arrivo e l’espansione di numerose specie “aliene”.
Altro fenomeno negativo da considerare è il collezionismo entomologico che, sebbene abbia subito un calo negli ultimi anni, può ancora incidere sulla consistenza di certe popolazioni, in modo particolare su quelle di specie più vistose o rare.

Farfalle e flora

Quando allungano la loro simpatica “proboscide” (o meglio, la spiritromba) per lambire il tanto ambito nettare, le farfalle svolgono un grande servizio all’ecosistema: sporcandosi di polline e svolazzando a lievi balze tra un fiorellino e l’altro, permettono alle angiosperme - le piante con i fiori “in evidenza” - di fecondarsi tra loro.
Le falene, cugine dello stesso ordine delle farfalle, scelgono solitamente i fiori di colore bianco o giallo, più visibili di notte, viste le loro abitudini notturne.

Quello tra lepidotteri impollinatori e piante impollinate è un legame mutualistico molto delicato: l’eventuale diminuzione o scomparsa dell’una, infatti, comporta seri rischi per l’altra. Le farfalle sono molto selettive nella loro dieta, così come le specifiche piante nutrici sono solitamente selettive in termini di areale nel quale crescono.
In altre parole: se un fiore impollinato da una specie di farfalla comincia a scarseggiare, sarà difficile per la stessa trovare delle alternative trofiche in quell’area, e sarà altrettanto improbabile che, spostandosi in un’altra zona, abbia la possibilità di imbattersi nella specifica varietà fiorale di cui si è sempre nutrita.
Ovviamente l’impollinazione è un tipo di interazione vantaggiosa che le farfalle intrattengono con le piante, ma ve ne sono altre di ben meno altruistiche. Ricordiamoci, infatti, che allo stadio iniziale della loro vita le farfalle non appaiono come leggiadri esseri alati, ma sotto forma di opulenti e voracissimi bruchi, ghiotti di steli, foglie e altre parti vegetali. Anche in questo caso la dieta degli stessi è estremamente selettiva e quindi, vista la limitata capacità di spostamento di un bruco rispetto a una farfalla adulta, il legame con la pianta nutrice è ancora più viscerale e al contempo fragile.

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In Italia sarebbero presenti, allo stato spontaneo, numerosissime piante “da farfalle”, ma usare il condizionale è oramai d’obbligo.
Basti pensare alle specie vegetali, quelle piante spontanee che crescono laddove il terreno viene lavorato e coltivato e che punteggiavano le messi dorate con colori vivaci e appariscenti: il papavero, la nigella, il fiordaliso prosperavano, coi loro impollinatori, in quelle zone soleggiate e calde che sono i campi coltivati; ma le pratiche agricole odierne non prevedono più coesistenze tra i vegetali e la monocoltura affiancata dall’uso di erbicidi ormonici sta letteralmente facendo terra bruciata.
A titolo d’esempio il fiordaliso, pianta abbondantemente impollinata e diffusissima nei campi fino a qualche decina di anni fa, ora è pressoché scomparso.
Nel nostro piccolo però ognuno di noi può fare qualcosa per aiutare i lepidotteri!

Non è necessario creare un butterfly garden (giardino delle farfalle): infatti le piante ornamentali, spesso esogene e coltivate per i loro fiori appariscenti, sono solitamente povere di nettare e poco appetite dalle farfalle nostrane. Mantenere una parcella di terreno a prato eseguendo pochi sfalci nei periodi idonei è il miglior modo per creare un piccolo scrigno di biodiversità dove le farfalle potranno facilmente prosperare.
Infatti queste traggono nutrimento da piante erbacee estremamente comuni, come la primula, le margherite, la verbena, la malva, l’ortica, molte specie di silene (predilette dalle farfalle crepuscolari o dalle larve dei nottuidi), il rovo, le viole, l’aneto, il timo e l’origano selvatico e altre meno comuni quali la verga d'oro (Solidago virga-aurea), i già citati (e sempre più rari) fiordalisi, la genziana e molte altre.

Guarda l'#incontroravvicinitissimo dedicato alla Papilio alexanor.
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A Valdieri, lungo il Sentiero delle Farfalle, è presente un esempio del legame tra lepidottero e pianta nutrice: si tratta della fortissima sinergia tra la rara Papilio alexanor e il cosiddetto falso prezzemolo (Ptycothis saxifraga): l’Umbellifera costituisce pressoché l’unico nutrimento dello stadio larvale della farfalla in questo areale. Senza questa pianta erbacea biennale, la farfalla, vera e propria eccezione in un territorio montano come quello delle Alpi Marittime, scomparirebbe.

Ultimo aggiornamento: 03/05/2023
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